venerdì 7 novembre 2014

Frusta a cinghiate la figlia di 15 anni: madre condannata per “lesioni volontarie”

La donna aveva definito la ragazza “sregolata” e “disubbidiente”: per ottenere soldi aveva mentito sull’esistenza di una gita scolastica

Se un genitore picchia il figlio con una cintura non commette un abuso di mezzi di correzione, ma il reato più grave di lesioni volontarie: lo ha stabilito il tribunale di Torino nel condannare una donna di origine straniera a quattro mesi di reclusione. All’imputata non è stata concessa la condizionale. 
L’episodio risale al 2011, e ha visto come «persona offesa» una ragazzina all’epoca di 15 anni. La magistratura ha cominciato ad occuparsene quando il preside della scuola accompagnò l’adolescente (che presentava numerosi lividi poi giudicati guaribili in sette giorni) all’ospedale infantile Regina Margherita. Il processo ha fatto emergere una difficile realtà familiare: la giovane dapprima denunciò sevizie e maltrattamenti, ma poi ritrattò. La madre descrisse la figlia come «sregolata» e «disubbidiente», che per ottenere dei soldi aveva «mentito sull’esistenza di una gita scolastica». Di fronte ai rimproveri, la ragazza aveva spintonato la madre, che a sua volta, «in un impeto d’ira», l’ha percossa con la cintura. 
Secondo il giudice, Federica Florio, «a nulla valgono eventuali atteggiamenti aggressivi o provocatori della minore». La cinghia, inoltre, è «uno strumento potenzialmente molto dannoso, emotivamente di grosso impatto, certamente non educativo». Si tratta di un «mezzo non consentito» e, quindi, la vicenda non rientra nell’abuso dei mezzi di correzione, reato per il quale la pubblica accusa aveva chiesto un mese di carcere. 

Fonte: lastampa.it


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