venerdì 12 dicembre 2014

Piazza Fontana, ultima beffa: vuoti i fascicoli

Solo Difesa ed Esteri hanno depositato all'Archivio di Stato le carte ora consultabili dopo la direttiva Renzi

Piazza Fontana, ultima beffa: vuoti i fascicoli

ROMA. Doveva essere la direttiva della trasparenza, dell’apertura degli armadi della vergogna. Il premier Matteo Renzi l’aveva presentata così, lo scorso aprile: «Togliamo il segreto di Stato alle carte di Piazza Fontana». Ma nel monumentale palazzo dell’Archivio centrale dello Stato, in zona Eur a Roma, le «carte segrete» sulla strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura del 12 dicembre 1969 «liberate» dalla direttiva Renzi riempiono appena tre esili buste gialle. Dentro, sedici documenti provenienti dal Ministero della Difesa: dal 1972 al 1998. Nessun appunto sui molti depistaggi di cui è lastricata la storia delle inchieste e dei sette processi su piazza Fontana, nessun verbale sommario sulle «cordiali visite» dei colonnelli del Sismi a casa dei magistrati di Treviso Giancarlo Stiz e Pietro Calogero che stavano per arrestare i neofascisti Giovanni Ventura e Franco Freda, annusando per primi la pista nera che portava alla strage di Milano; nessun fonogramma dell’ufficio Affari riservati del Viminale sul pericoloso attivismo del commissario di polizia di Padova Paquale Juliano, trasferito perché troppo vicino alla verità ancor prima delle bombe. Nessuna nota sul generale Gianadelio Maletti e il capitano Antonio Labruna, condannati in via definitiva per depistaggio.

Quarantacinque anni dopo, cosa c’è dunque nelle «carte segrete» di piazza Fontana? Il primo documento porta la data del 22 marzo 1972 e il numero di protocollo riservato 1571. Si tratta di una lettera del direttore generale del ministero della Difesa al gabinetto della presidenza del consiglio: «Il Comando Compagnia Carabinieri di Treviso ha comunicato che, da notizie assunte in via riservate, il giudice istruttore del Tribunale di Treviso sta procedendo, allo stato attuale, a carico di Ventura Giovanni, Freda Franco ed altri per il solo reato di cui all’articolo 270 c.p.» (associazione sovversiva).
Ci sono poi appunti «urgenti» relativi alla trasmissione dell’equipaggio militare che ha condotto «l’imputato Marco Pozzan» dalla Spagna all’Italia nel 1977; uno scambio di corrispondenza tra uffici sullo stato di avanzamento dell’inchiesta milanese che aveva ancora in Pietro Valpreda l’accusato principale, poi scagionato; e infine una serie di appunti e lettere tra gabinetti ministeriali per predisporre la risposta del governo a un’interrogazione del senatore del Partito Comunista Italiano Umberto Terracini.
Poco più corposo ma non meno irrilevante è il deposito degli atti da parte del Ministero degli Esteri, relativo a un arco temporale che va dal 1986 al 2004. Mancano i depositi più importanti, quelli dell’Interno e della presidenza del Consiglio. La Farnesina ha consegnato all’Archivio di Stato lo scorso giugno circa quattrocento documenti, quasi tutti relativi alla richiesta di estradizione dal Giappone dell’ordinovista di Arzignano Delfo Zorzi, indicato come esecutore materiale della strage di piazza Fontana ma assolto dalla giustizia italiana. La prima richiesta di estradizione - per i reati di associazione sovversiva e possesso illegale di armi e munizioni contestati dalla Procura di Venezia - porta la data di maggio 1986, respinta dal Giappone appena tre mesi dopo. Da allora, per almeno dieci anni, l’estradizione del cittadino Hagen Roy, oggi stimato imprenditore nel settore tessile, era diventata una sorta di parola d’ordine per qualunque politico italiano passasse per il paese del Sol Levante. Persino Gianni Alemanno, genero di quel Pino Rauti che qualcosa doveva pur sapere, si spinse da ministro dell’agricoltura a chiedere la consegna alle autorità italiane dell’ex camerata.
Nel carteggio custodito all’Archivio centrale dello Stato lunghe corrispondenze, verbali di incontri diplomatici, appunti riservati su come «gestire» i rapporti con la stampa sulla vicenda. C’è persino una esilarante serie di richieste di rintraccio alle nostre rappresentanze diplomatiche sulla presenza o meno di Zorzi in paesi come il Mozambico, la Tunisia, la Polonia, l’Argentina, il Belgio. «Approfondite ricerche» che si concludevano sempre «senza esito alcuno». La cronologia del caso, «riservata ad uso escluso d’ufficio», riporta che l’Interpol si mette a cercare Delfo Zorzi in Giappone nel 1997, dopo che la Procura di Milano emette un mandato d’arresto per il reato di strage, al fine di estradizione. Ma è la stessa Interpol a comunicare di aver rintracciato a Tokio l’ex ordinanovista, cittadino naturalizzato giapponese...da ben otto anni. Il carteggio su Delfo Zorzi si interrompe con un telefax «urgentissimo» che il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sigla il 21 maggio 2004 dichiarando la resa delle autorità italiane. La lettera ha per oggetto: «Ritiro della domanda di estradizione» e segue di poche settimane la sentenza (di secondo grado, neanche quella definitiva) di assoluzione della Corte d’Appello di Milano. Quando di dice «sollecitudine».
Se un mistero le «carte segrete» di piazza Fontana svelano è quello del trattamento economico degli imputati chiamati a testimoniare nei processi: il carteggio della Farnesina ricostruisce puntuale la disponibilità degli Esteri, per via consolare, all’anticipo delle «spese integrali di viaggio aereo dall’Argentina all’Italia» per Giovanni Ventura (il fax è del giugno 2000) e dal Venezuela per il teste Pietro Maria Battiston. Per il neofascista Roberto Raho, nato a Treviso e residente a San Nicolò in Comelico ma poi trasferitosi in Venezuela, lo Stato era disposto a liquidare: 200 dollari di taxi per l’aeroporto di Caracas, biglietto aereo andata e ritorno Klm su Venezia, mille dollari per anticipo spese di viaggio e un’assicurazione supplementare sulla vita a favore dei figli Andrea e Alberto Raho del valore di 500 milioni di vecchie lire.
cronache criminali